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LI Lettura Vinciana

Le battaglie di Leonardo (Codice A dell’Institut de France, ff. 111r e 110v, «Modo di figurare una battaglia»)
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Carlo Vecce
Professore ordinario di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”

Sabato 16 aprile 2011, ore 10.30
Vinci, Biblioteca Leonardiana

Come rappresentare visivamente una battaglia? Più di dieci anni prima della Battaglia di Anghiari, nel Codice A (1492), Leonardo si era già posto compiutamente il problema, trascrivendo un testo straordinario tra le note destinate ad essere il nucleo più antico di un ‘libro di pittura’. Il titolo, Modo di figurare una battaglia, sembra preludere ad un semplice testo didattico, nulla di più che una griglia compositiva per una pittura di battaglia. La ‘battaglia’, in effetti, era un genere di grande fortuna nell’arte del Quattrocento (da Paolo Uccello a Piero della Francesca), considerato un difficile campo di prova per l’invenzione e la composizione della ‘storia’. E invece il figurare ha per Leonardo un significato più profondo, e più direttamente legato al descrivere, all’uso del linguaggio verbale, lo strumento necessario per ‘raccontare’ la globalità dell’evento e ricrearne dall’interno la temporalità: e il confronto percorre sia i testi coevi del cosiddetto Paragone che quelli dei fogli di anatomia. L’esito è paradossale: come i tardi Diluvii, così anche le battaglie di Leonardo si rivelano ‘impossibili’ da figurare. Innanzitutto perché sono battaglie moderne: non più eroici scontri di cavalleria medievale, con luccicanti armature e stendardi che garriscono al vento, ma mischie confuse nella nebbia prodotta dalla polvere da sparo delle artiglierie, un caos di suoni e odori in cui si muovono, come fantasmi, figure d’uomini e d’animali. Visioni dantesche, queste battaglie rendono visibile un inferno terreno, creato dalla stessa follia dell’uomo (pazzia bestialissima), e ‘misurabile’ con osservazioni di ordine fisico e meccanico: la leggerezza e la densità del fumo e della polvere, i movimenti ascensionali e discensionali dell’aria, le mistioni di fluidi (il sangue, l’acqua, il fango). La battaglia offre infine un enorme campionario di movimenti del corpo umano e di passioni dell’anima esteriorizzate nelle espressioni del volto: uno spettacolo bello e terribile, che introduce in termini quasi sacrali e rituali un tema essenziale in tutta l’opera di Leonardo, quello dell’estetica della violenza. La sua modernità è però nel trattamento del punto di vista: quello di un soldato, che vede la battaglia dall’interno e sa che ne fa parte e potrebbe esserne in qualunque istante travolto e disfatto (come nelle battaglie descritte nella letteratura moderna, da Stendhal, Tolstoi, Crane, Fenoglio). Forse solo il cinema sarebbe riuscito a dare alle diverse sequenze un filo unitario, per mezzo del montaggio: e non è un caso che tra i più attenti lettori del Modo di figurare una battaglia ci sia stato il maestro dell’Alexander Nevskij, Sergei Eisenstein.

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