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Archivio Storico Comunale di Vinci

 

 

 

 

 

Lettera aperta a sua Maestà il Re Vittorio Emanuele II di Savoia

 

Le lettere aperte del gonfaloniere Colzi a Re Vittorio Emanuele II di Savoia e a Bettino Ricasoli furono presentate al Magistrato e al Consiglio di Vinci nell’Adunanza del 27 gennaio 1860 e si trovano adesso trascritte nel registro delle deliberazioni che va dal 6 dicembre 1858 al 1 dicembre 1860 (ASCV preunitario, III/22); vi e poi una seconda lettera indirizzata a Bettino Ricasoli presentata sempre dal Colzi nell’Adunanza del Consiglio generale di Vinci del 4 marzo 1861 annotata nel registro delle deliberazioni che ha per limiti cronologici 1 dicembre 1860 – 20 gennaio 1863 (ASCV, preunitario, III/24 cc.43r.-52v.). Di quest’ultima lettera esiste l’esemplare a stampa conservato in una busta di allegati alle adunanze magistrali datata 17 febbraio 1858 - 23 dicembre 1861 (ASCV, preunitario, IV/39, fasc.XXV). Le lettere sono interessanti perché dimostrano la rottura dello stretto legame tra il granduca di toscana Leopoldo II ed il suo popolo, causata in particolare dal comportamento dei Lorena durante le battaglie di Solferino e S. Martino quando gli arciduchi toscani Ferdinando e Carlo scesero sul campo di battaglia a fianco dell’imperatore Francesco Giuseppe contro le truppe franco – piemontesi mentre Leopoldo rimase a Vienna. E che l’elemento di rottura sia proprio questa situazione politica, lo si evince dalla lettera a Bettino Ricasoli in cui il gonfaloniere Colzi asserisce che i Lorena sono una "dinastia inconciliabile col lume di Italia, col bene e col decoro della Terra in cui nascemmo; [..]una dinastia spergiura e tinta del sangue versato a Solferino" (ASCV, pre-unitario, III/22, cc.51v.-53v).

A.S.C.V., pre-unitario, III/22, cc.54r.-56v.; A.S.C.V., pre-unitario, IV/39

« A Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele Secondo di Savoia Nostro Re Eletto.

  Maestà Se mai dovere di gratitudine riesce ogni maniera adatta ad esprimerlo, se il cuore non ebbe fremiti, che valessero la grandezza della ragione, e certo oggi che un Popolo sciolto di tirannica asservizione volge sensi di riconoscenza e di amore ad un Re generoso, che sortì con lui nascimento o comuni pene, la speranza e i trionfi. Si, Maestà; Madre, Vostra ella è pure questa Italia, che sempre si serbò maggiore della sua fortuna lieta e amorosa, e ciò sanno i suoi nemici, a cui non valse tanto levar l’orgoglio sulle sciagure; quest’Italia che dalla viltà del tradimento riconsegnata ancora una volta alle catene di un giorno maledetto, prostese a Voi, cadendo, le braccia e vi sorrise, nel pensiero di tremenda vendetta. Allora la sconfitta vi porse in retaggio scettro e corona, a noi raddoppiò l’onta e la servitù. Ma chiusa nel Cuore magnanimo l’idea del Gran Disegno ravvivaste vegliando, il fuoco santo di libertà, lo nutriste, cresciuto lo difendeste in fiamma, e incurante le persecuzioni e disastri, vi preparaste al giorno del gran riscatto mostrando a Noi, come l’altezza dell’animo non pieghi sotto i colpi dell’odio e della sventura. E quel giorno pur venne, e quell’ora suonò cotanto accetta e attesa, quanto tremenda improvvisa ai Satelliti della barbara dominazione, ed Italia vi scorse suo primo Campione, Erede dei sacri diritti e delle avite virtù, levato in sublime spettacolo fra i gridi delle accorse moltitudini ad un’altezza di gloria, di cui appariste venerabile e siete. Sfidando una morte, che soltanto è bella sul terreno natale, correste in mezzo ai fremiti delle battaglie, e dalla iniqua aggressione salvaste questa, del nostro amore e della gloria, nostra Patria diletta. Per Voi la tricolore insegna ventilò vittoriosa fra le Aquile amiche di Francia in un conflitto disperato di carnefici e vittime e adorno dei trionfi di Palestro, di Magenta, e di S. Martino, chiariste a prova ai Vandali fuggitivi, che non sempre gli eserciti valgono alle Vittorie, ma che invece il valore soltanto risplende di prodigi, quando un popolo combatte per la Patria difendendo col sacro, eterno Diritto delle Nazioni il dono di Dio, l’indipendenza di Italia. E compenso, che non vale l’acquisto di cosa terrena, largo e meritato ne aveste nelle acclamazioni delle Province, nelle condizioni dei Popoli, nei voti di Buoni, nel terrore dei Tristi. Genti, che disertano per enormi tributi, e per barbare rapine, per eccidi crudeli, per infami estorsioni, la Tirannia di un giogo insoffribile, che nei patiboli e nelle morti scrisse il suo diritto e la sua ragione, liete oggi si stringono intorno a Voi, che sempre aveste giuste le leggi, illuminato il senno, paterno il Cuore. E noi pure fummo e siamo con Voi fin da quel di, che riscossi a vita novella, rovesciammo il Trono del terrore, perché mai più vi salisse abominazione straniera. Fidente in Voi, nello spirito patriottico e illuminato dagli animosi, di che siete cinto, e nella protezione del profondo e potente Alleato Vostro, vediamo ansiosi, ma senza timore, volgersi a fine l’aspetto degli italiani destini. Che se alla Potenze di Europa avvenga mai che ciò si commetta, una voce potente, una coscienza pura veglierà per noi nel solenne concilio, il terribile e severo giudizio, e sulla lama di nostra Libertà non sia che manchi il prezzo di nostra vita; se nella sorte delle armi, invece si ponga, è anche già troppo tempo che queste ci pendono inoperose dal fianco. Solo ci tarda l’indugio, perché sudditi e figli vostri, non possiamo per anche, come vorremmo, unificare con Voi. Sorga, Ah! Sorga quel di che ci scorti all’amplesso della Toscana Famiglia; noi lo sollecitiamo coi voti di una gioia affettuosa, che giunge al delirio, coi sensi di una riconoscenza pari all’adorazione. Sorga, e risplenda sullo spettacolo di questa eletta parte d’Italia, che rigenerata per sistemi, per disciplina, per istituzioni, per leggi, ripara all’ombra gloriosa del Vostro Scudo, nella unità di un regno, forte, costituzionale, e devoto alla Vostra Dinastia. Maestà Due milioni di toscani vi attendono per benedirvi, ed offrirvi l’onore di un Serto, non fulgido d’oro, non ricco di gemme, eppure il più prezioso di tutti i diademi della terra. Un Serto di Allori cresciuti sui sepolcri dei martiri italiani. Son questi i sensi che la rappresentanza comunale di Vinci, a nome delle popolazioni che la compongono, esprime alla Maestà Vostra il segno di quell’affetto e di quella reverenza, che mai sarà per venir meno per volger d’anni, o per cambiare di Eventi della Maestà Vostra. Dalla Residenza Comunale di Vinci, Li 27 Gennaio 1860, il Gonfaloniere Dott. Raffaello Colzi»